QUOTA: 1269 m. s.l.m.
Superato un evidente canale valangoso (ul vendöl del Canìl) si incontra la contrada Piana posta ai bordi del torrente Tartano, al sicuro da alluvioni grazie agli argini rocciosi di questo tratto. Di fronte, nel versante purivo di Gàvet, l’altro nucleo della Piàna detta appunto de Gàvet (soprannome “Cadéni de”). La dimensione e la fattura delle costruzioni, addossate le une alle altre, denotano l’antichità e l’importanza della contrada, abbellita da una chiesetta fatta costruire da due coniugi nel 1652. In un censimento della fine del ‘600 nei due nuclei risultano sei famiglie e quarantaquattro abitanti. Negli anni ’60 del secolo scorso erano residenti circa dodici famiglie ed è stata abitata stabilmente fino al 2005, quando anche gli ultimi tre abitanti scesero al piano. Era sede delle Scuole Elementari (oggi museo del legno) a cui avevano accesso tutti i bambini della Val Lunga e che restarono in attività fino al 1986 con solo quattro alunni (negli anni ’50 del dopoguerra erano una cinquantina). Le baite presso le due contrade sono staccate dalle abitazioni, mentre ve ne erano parecchie a blokbau sparse sul pendio a solatio, risalenti tra la prima metà del ‘700 e la fine del ‘800: sono ormai tutte diroccate, salvo le due più vicine ai nuclei abitati, una di queste è datata 1862. La vicinanza del torrente ha inoltre permesso l’attività di una segheria e di un mulino, in funzione fino agli anni ’60 del secolo scorso; oltre a creare lavoro, hanno aumentato l’importanza strategica della contrada. I boschi in Val Lunga e in parte anche della Val Corta, sono gestiti dal consorzio dei “Premestini”, di cui ancora fan parte i residenti originari e i loro discendenti, un’antica prerogativa trasmessa nei secoli. Le attività di boscaiolo e segantino erano molto praticate in Val Tartano e, prima dell’avvento delle teleferiche agli inizi del novecento, i tronchi tagliati (il bùri) venivano fatti scorrere nelle forre del Tartano, fino al suo sbocco al ponte di San Bernardo a Talamona, lungo la suènda, una sorta di condotta forzata fatta degli stessi tronchi che, esaurita la pila di accumulo (la péa) man mano veniva smontata e avviata in basso; nei punti critici vi era l’addetto che col zapìn sbloccava il passaggio (un’attività molto pericolosa). Le assi prodotte nelle segherie, venivano invece portate a Talamona da uomini e donne che “per portare meglio” si servivano della bàsta (una sorta di cuscino riempito di paglia che si appoggiava sulle spalle e fissato alla fronte). Si racconta che la prima richiesta di costruzione di una teleferica, venne bocciata dal Comune con la motivazione che avrebbe comportato una perdita di lavoro per molti abitanti della valle! Il mulino permetteva poi di conservare più a lungo il mais da polenta e macinarlo all’occorrenza.